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Recensione: Nel nome del male di James Oswald (Ed. Giunti, 2014)

Nel nome del male, il primo romanzo giallo di James Oswald, è stato un grande successo in Gran Bretagna; all'inizio l'autore, uno sconosciuto scrittore ed allevatore di pecore scozzese, lo ha auto pubblicato su amazon, ottenendo così tanti download che le case editrici, in seguito, si sono litigate il libro. Così nasce l'ennesimo caso editoriale ed arriva in Italia il primo capitolo della saga dell'Ispettore McLean (in lingua originale sono stati pubblicati già tre romanzi).

Io l'ho letto in questi giorni e non mi ha convinta, ho fatto proprio fatica a seguirlo fino alla fine.

Trama: Nei sotterranei di un'antica dimora nel cuore di Edimburgo viene rinvenuto il cadavere di una ragazza, rimasto nascosto per sessant'anni all'interno di una cripta. Incaricato delle indagini, l'ispettore McLean, spirito libero e cocciuto, non può immaginare la scena che si troverà di fronte: un corpo straziato in un contesto che ha tutta l'aria di un cerimoniale. Per gli alti vertici della polizia questo cold case non è certo una priorità, ma McLean è ossessionato dal macabro rituale con cui è stata seviziata la vittima e non riesce proprio a girare al largo. Intanto Edimburgo è sconvolta dal brutale assassinio di un vecchio banchiere, seguito da una catena di altri omicidi di uomini in vista: tutti ricchi e potenti. Tutti sventrati con lo stesso rito cruento. Possibile che si tratti solo di coincidenze? Qual è il filo rosso che lega gli omicidi tra loro? E quale mente perversa può congegnare un simile orrore?

Il romanzo è ambientato in una Edimburgo estiva e afosa, lontanissima da quella piovosa e fredda descritta da altri giallisti "storici", cito Ian Rankin su tutti. E' qui che conosciamo l'Ispettore Tony McLean, giovane, acuto, testardo, e sufficientemente tormentato (alcuni aspetti della sua vita privata ci vengono raccontati, altri solo accennati tra le righe). Tony McLean, che è anche piacente, tenebroso e spesso un po' alticcio, non si discosta molto da altre decine di protagonisti che la narrativa gialla, specie anglosassone, ci ha offerto in questi anni (mi vengono in mente il Tom Thorne di Mark Billingham o il Logan McRae di Stuart McBride). Indipendentemente dal giudizio su questo libro in particolare, a volte mi piacerebbe anche stupirmi e trovare un protagonista un po' diverso dal solito stereotipo; l'unico che è riuscito nell'intento, ultimamente, è stato Peter May con il suo Finn Macleod.
Il personaggio è comunque gradevole, abbastanza ben caratterizzato e lo stesso vale per i colleghi/amici che ruotano attorno all'indagine, il medico legale, il detective novellino, il vecchio sergente saggio ecc. ecc.
La trama e lo svolgimento invece non li ho trovate all'altezza. Troppo complicata la prima, troppo arzigogolato e surreale il secondo, troppo frettoloso e stiracchiato il finale.
Abbiamo un omicidio rituale, che risale ad almeno 60 anni fa, ma negli stessi giorni del ritrovamento di questo corpo, assistiamo ad una serie di efferati omicidi di personaggi piuttosto in vista in città ed ancora all'inspiegabile suicidio di persone comuni. 
I morti sono così tanti che ad un certo punto ho iniziato a fare confusione con i nomi (potrebbe essere effetto dell'età, ammetto) e con le modalità della morte. Quando, verso la fine, esce il personaggio chiave, quello che è un po' il denominatore comune di tutti questi fatti di sangue, la sottoscritta era già persa da tempo nei meandri della trama, e quando questo personaggio tira in ballo, seppur in maniera molto soft, l'oscuro mondo del sovrannaturale...ecco, lì ho avuto voglia di mollare (ma mancavano solo 20 pagine alla fine).
Altra cosa che non ho particolarmente amato del libro, ammetto che è una cosa del tutto personale, è la volontà dell'autore di stupire con descrizioni truculente ed un po' trash delle vittime. Un tempo certe violenze non mi davano fastidio, adesso, ahimè, sevizie, sbudellamenti, organi sbranati, tagliuzzati e riposti in orifizi più o meno nominabili, mi danno vagamente fastidio. 
Avessi letto subito i ringraziamenti..avrei scoperto che James Oswald riconosce nello scrittore Stuart McBride il proprio maestro, ed in effetti la somiglianza di stile, genere ed atmosfera è notevole (McBride è l'autore de Il collezionista di occhi, Il cacciatore di ossa, il collezionista di bambini; gialli molto cupi e violenti, come si evince dai titoli).
In conclusione, se amate McBride e cercate un thriller nero che più nero non si può, con un tocco di paranormale ed un buon ritmo, leggetelo, non ne rimarrete delusi; se, come me, amate l'introspezione psicologica dei personaggi e qualcosa di più classico, potete anche evitarlo. Astenersi stomaci deboli.
Alla prossima!

Commenti

  1. Ciao sono una nuova follower...complimenti per la grafica così colorata e carina^.^
    Devo dire che questo libro mi aveva attirato per la cover, e la trama non mi sembrava brutta...però ho preferito evitare perché per i thriller io sono un po pignola, le cose campate per aria non mi piacciono :/ ti consiglio di leggere qualcosa di Karin Slaughter, per me la migliore :D

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  2. Ciao! grazie per i complimenti :) Mi piace la Slaughter, anche se è da un po' che non leggo un suo libro. Riguardo a questo giallo...l'opinione è molto personale, il romanzo è scritto bene, ma l'ho trovato davvero "troppo"!

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  3. Effettivamente il primo sembra più truculento del secondo, molto più!

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