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Recensione: santa degli impossibili di daria Bignardi (Ediz. Mondadori, 2015).


Non mi stancherò mai di ripeterlo, Daria Bignardi ha uno stile, letterariamente parlando, che mi coinvolge e mi stupisce. Forse è perchè guardandola in televisione dà l'impressione di essere controllata e distaccata, a me mette anche un po' in soggezione, con quelle frecciatine che colpiscono ed affondano "silenziosamente". Nei libri, no, è tutta un'altra cosa. C'è calore nella sua scrittura, c'è empatia nei confronti dei personaggi, c'è una fiera dignità, specie quando racconta il dolore.

E' quello che ho trovato anche in Santa degli impossibili, che è un romanzo molto breve, poche pagine, una lettura di due ore al massimo. 
Santa degli impossibili è la storia di Mila, raccontata dalla stessa protagonista, dal marito Paolo e dalla figlia adolescente Maddi; ma è Mila il cuore della narrazione. Mila, una bambina amata e felice.
"Se hai visto la luce anche una sola volta te la ricordi per sempre. Io l'ho vista lungo la strada che portava dalla nostra piccola città al paese dove sono nati i miei". 
Mila, che ama la campagna e le sue radici e che, alle soglie dell'adolescenza, vede davanti a sé un futuro pieno e radioso. 
"Le cose sono andate in un altro modo. Sono venuta a vivere in una grande città, ho sposato un uomo che ha la capacità di ferirmi, ho smesso di pregare; ma non ho dimenticato la luce".
Ecco l'essenza del racconto: un'esistenza come tante altre, il trasferimento a Milano, la solitudine, l'incontro con Paolo, un rapporto che probabilmente non è mai stato un grande amore, ma un'ancora di salvezza, tre figli, Maddi e due scatenati gemelli, un lavoro part time, la delusione della mancata realizzazione personale. 
Nella quotidianità dell'essere madre e moglie, nel tentativo di esaudire le aspettative di tutti, Mila perde la sua luce e a nulla valgono gli impegni di volontariato e l'amore per Maddi e i gemelli; Mila si sente in prigione e alle soglie dei 40 anni il buio prende il sopravvento.
E' in questo buio che incontra, fugacemente, Annamaria, insegnante laica, che le fa intravedere una piccola, nuova, luce: è la figura di Santa Rita, la santa degli impossibili, una delle pochissime sante della cristianità ad essersi sposata, aveva anche due figli gemelli, prima di prendere i voti. Santa Rita, che a Mila ricorda l'infanzia e il coraggio e la passione che rendono ogni donna invincibile e ogni ostacolo superabile.
Il finale ti coglie di sorpresa, luminoso, aperto, pieno di aspettative, come il bacio appassionato di due adolescenti, quelli che Mila osserva incamminandosi verso il futuro.
Mi piacerebbe chiedere a Daria Bignardi come immagina, lei, il futuro di Mila. Un nuovo lavoro? Un progetto di volontariato? E Paolo? riuscirà a farle capire che, in fondo, le vuole bene, anche se non lo sa dimostrare, anche se la trova "strana", complicata, misteriosa? E volersi bene, basterà a ritrovare la felicità o Mila ha bisogno di amore totalizzante, di passione? 
Si, mi piacerebbe sapere cosa ne pensa l'autrice, ma probabilmente lei mi guarderebbe un po' così e mi risponderebbe che ci sono mille modi di interpretare la luce di Mila, a ciascuno il suo. Poche parole, niente fronzoli. E io mi sentirei in soggezione per la banalità della domanda.
 
In conclusione, malgrado la brevità, malgrado alcuni personaggi siano solo abbozzati  e alcune situazioni rimangano sospese, tanto da lasciarmi a tratti una sensazione di "incompiuto", ho trovato questo romanzo poetico e vero nella sua struggente malinconia. La storia di una donna complessa e inquieta in cui molte potranno rispecchiarsi e ritrovarsi.


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