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Recensione La rancura di Romano Luperini (Ediz. Mondadori, 2016).

Buonasera Lettori, oggi vi racconto le mie impressioni su La rancura, il romanzo di Romano Luperini recentemente edito da Mondadori.
Devo fare una doverosa premessa, Romano Luperini è un noto studioso e critico letterario, è docente universitario, autore di testi scolastici, di saggi, dirige due riviste di critica della letteratura. Il professor Luperini è, insomma, uno scrittore di grande spessore e cultura. Mi sono accostata al suo libro con una sorta di timore reverenziale e mi appresto a recensirlo ben consapevole di non avere i titolo per commentarne prosa e stile; vi lascio dunque quelle che sono le mie impressioni personali e mi faccio aiutare dall'autore, riportando alcuni dei suoi commenti al romanzo.

Rancura. La parola – rocciosa, ruvida, restia a dichiararsi – è usata da Montale per descrivere il sentimento che ogni figlio prova, in forme diverse, nei confronti del padre, per misurarsi con lui, per comprenderlo, per raccoglierne l'eredità spesso scomoda.

Un romanzo sul rapporto, spesso conflittuale, fra padri e figli, raccontato attraverso gli uomini di tre generazioni, ma anche (e soprattutto) uno spaccato della storia italiana, dal fascismo al governo Berlusconi, passando attraverso gli anni della contestazione e del terrorismo.
La rancura, storia di tre uomini molto diversi fra loro, in tre contesti sociali e politici differenti, si divide in tre parti ben distinte: Memoriale sul padre, Il figlio, Il figlio del figlio.
Ognuno di questi capitoli, autonomi dal punto di vista narrativo, ha un suo stile, un suo linguaggio, un suo protagonista, ma un unico comune denominatore: "l’eterna contesa fra padri e figli, la rancura che li contrappone dall’Edipo dell’antica Grecia al Montale degli Ossi di seppia che appunto impiega questa parola (“rancura”) per dire il rapporto che li unisce e li divide".
Il Memoriale sul padre racconta la vita di Luigi Luppi; figlio di contadini toscani, unico in famiglia ad aver ricevuto una certa istruzione, Luigi diventa maestro elementare, si innamora, si sposa, viene travolto dal corso della Storia, si trova in Istria alla firma dell'armistizio dell'8 settembre 1943, diviene comandante di una brigata partigiana e protagonista di un capitolo sanguinoso e complesso del primo conflitto mondiale (i crimini di guerra dei generali italiani, le lotte tra partigiani italiani e jugoslavi, la tragedia delle Foibe). Rientrato a casa alla fine del conflitto, Luigi fatica ad adattarsi alla quotidianità della vita civile. Ossessionato da alcune dinamiche famigliari, geloso, silenzioso e "ingombrante": è così che il figlio Valerio, ancora bambino, vive il ritorno del padre dal fronte, un padre che non imparerà mai a conoscere veramente.
Questa prima parte del romanzo viene definita da Luperini una sorta di docu- fiction, dove alla precisa ricostruzione storica, si mescolano elementi inventati; lo stile è asciutto ed essenziale, a tratti una cronaca di eventi bellici, ma si addolcisce nelle descrizioni e nei ricordi della casa e della famiglia natale di Luigi, dove la narrazione assume la forma di memoriale.
La seconda parte, Il figlio, racconta la storia di Valerio adulto; docente universitario e militante comunista, Valerio attraversa la contestazione e gli anni di piombo, altro momento delicato e sanguinoso della storia del nostro paese, sorretto dalla fede nei propri ideali e dalla volontà di creare un nuovo partito rivoluzionario di sinistra. Ad esso Valerio consacra gran parte della sua vita, sacrificando famiglia e affetti. Ma la fine delle ideologie rivoluzionarie è dietro l'angolo e i sogni di una generazione vengono bagnati dal sangue delle stragi terroristiche di una nuova guerra civile.
Questa parte, chiaramente autobiografica e narrata in prima persona, viene definita dall'autore un'auto-fiction, dove eventi realmente accaduti a Luperini, si mescolano ad altri "inventati o ricostruiti grazie a documenti d'epoca". Lo stile in questo capitolo è più incalzante, serrato, a volte non è semplice trovare un nesso temporale o casuale tra gli avvenimenti raccontati, alcuni personaggi appaiono e scompaiono, lasciando al lettore la voglia di saperne qualcosa di più; interessanti, ad esempio, alcune figure femminili, ma il loro ruolo rimane ai margini della trama. La vita personale dei protagonisti è decisamente in secondo piano rispetto a quella politica; 
La terza parte, Il figlio del figlio, è un racconto in terza persona, dallo stile più semplice, ambientato nel 2005. Marcello, figlio di Valerio, ha quarant'anni, vive a Londra e torna in Toscana per svuotare la casa in collina che il padre, mancato da poco, aveva scelto come buon ritiro. 
Sono i tempi di Berlusconi, del terrorismo islamico, del Grande Fratello che impazza in televisione. Marcello è figlio di una generazione che non conosce, né riconosce, gli ideali politici del padre, tanto meno la povertà, la fatica, i giorni eroici del nonno. Lui, figlio di divorziati, cresciuto in una famiglia allargata, con le idee ancora confuse sul futuro lavorativo e affettivo, pare, in definitiva, il più curioso e propenso a voltarsi "indietro". Fotografie, lettere, poesie e diari del padre: nei confronti delle pagine ingiallite dal tempo, prova il rancore del bambino trascurato dal padre, dell'adolescente mai altezza delle aspettative, ma anche la curiosità e la voglia di capire, conoscere. C'è fastidio in lui ma anche attrazione nei confronti di una generazione così distante dalla sua.
Nel suo complesso, La rancura è un romanzo che ho trovato interessante dal punto di vista storico, ne ho apprezzato l'accuratezza e il cambio di stile e linguaggio che caratterizza i tre racconti e ben inquadra i tre personaggio: le passioni e l'impegno dei padri e dei nonni, l'incertezza e la mancanza di prospettive del figlio.
Proprio il realismo che contraddistingue lo stile narrativo, d'altro canto, ha costituito per me un limite, non sono riuscita a provare grande empatia per i protagonisti e ho trovato la narrazione a tratti fredda. La seconda parte, fra tutte, è quella che mi è risultata più difficile.
Qualche giorno fa ho recensito il romanzo di Kristin Hannah, L'usignolo, ambientato durante il secondo conflitto mondiale, l'ho definito un romanzo per il grande pubblico, più preciso nel descrivere i sentimenti che non nella ricostruzione storica. Ecco, La rancura è l'esatto opposto: un romanzo molto curato e accurato, dalla prosa colta, destinato a lettori consapevoli.

Commenti

  1. Ciao Tessa! Una lettura molto particolare questa, penso che per approcciarsi a certi libri bisogna anche trovare il momento giusto e questo rientra (penso) tra quelli. Molto chiara la tua recensione, ho avuto modo di avere una visione completa dell' autore (che non conoscevo) e della trama. Rosa

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    1. Nemmeno io conoscevo l'autore; forse hai ragione, è un libro che ha bisogno dei suoi tempi. Però è decisamente interessante.

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  2. Ciao Tessa, mi incuriosiscono le tue scelte. Non è infatti un libro che ammicca dalle vetrine delle librerie. E a leggerne la trama sembra impegnativo.
    Non vedo neppure le stelline.
    Mi lasci nel dubbio? :-)
    Lea

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    1. Questo romanzo mi è stato proposto da Mondadori, penso che altrimenti non sarebbe arrivato nella mia libreria; la collaborazione con la CE mi ha aperto gli orizzonti, in questo senso. Ho letto libri che altrimenti mi sarebbero sfuggiti.
      La rancura è un romanzo colto, molto storico, molto interessante nel complesso. Ha delle parti difficili, forse anche un po' noiose, specie nel secondo capitolo (il terrorismo di sinistra, gli anni di piombo). Non attribuisco sempre una votazione ai libro che recensisco, di solito non voto gli esordienti e certi romanzi particolari. Tipo questo, non confrontabile con le mie solite letture.
      Se ti interessano i romanzi storici , potrebbe fare al caso tuo.

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  3. Gentile Tessa nel secondo capitolo viene analizzato in modo lucido, chiaro, sintetico il fenomeno del terrorismo, in pratica viene spiegato il dramma di una generazione. La stessa considerazione può essere fatta per il femminismo. Ho difficoltà a comprendere come possano essere risultate noiose queste parti!

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    1. Gentile Romano, nella recensione ho sottolineato un mio limite personale, ho fatto fatica ad empatizzare con i personaggi nella seconda parte del romanzo. Il limite è legato allo stile adottato, non certo al tema trattato, ed è quindi del tutto soggettivo!

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