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Recensione: L'albero velenoso della fede di Barbara Kingsolver (Ediz. BEAT, 2013).

L'albero velenoso della fede è uno di quei romanzi che ti conquistano piano piano. Almeno così è successo a me. Non un amore a prima vista, ma un graduale immedesimarmi nei suoi personaggi e nelle loro storie. Fino a venirne completamente rapita. 

È un romanzo sofferto e complicato, questo di Barbara Kingsolver, è una storia che può venire letta in tanti modi: è un romanzo storico, è un romanzo politico-sociale, è una denuncia contro il colonialismo e contro lo sfruttamento che il mondo civilizzato consuma, da sempre,  nei confronti del continente africano ed è, sopratutto, una potente storia d'amore, di odio, di colpa e di perdono.
Da dove comincio? 
Non è facile. Prendo la via più semplice e comincio là dove inizia il libro. Una donna bianca nella giungla africana con quattro ragazzine. La donna, Orleanna Price, moglie di un predicatore battista, ha lasciato la vita comoda che aveva in Georgia, l'unica vita a lei conosciuta, per seguire lo zelo missionario e visionario del marito fino a Kilanga, un paese sperduto del Congo belga circondato da un giungla impenetrabile: un posto ostile al quale Orleanna non è neanche lontanamente preparata. Le ragazze sono le sue figlie, Ruth May, la più piccola, è ancora bambina, Rachel, la maggiore, è bionda e vanitosa, Leah, forte e avventurosa, è quella che più di tutte cerca di adattarsi alla vita e alla missione scelta dal padre e poi c'è  Adah, gemella di Leah, geniale e muta, nata con un handicap che le rende difficile muoversi e parlare.
L'albero velenoso della fede lo raccontano loro, le donne Price, un capitolo a testa, dal 1960, anno del loro arrivo in Congo, all'epoca ancora (per poco) colonia belga, fino ai giorni nostri.
Attraverso i loro loro occhi, così diversi, scopriremo un paese dalla natura affascinante ma ostile, dalle grandi ricchezze eppure incapace di gestirle, un paese che si può accettare, amare, ma sicuramente non si può cambiare o piegare.
La prima parte del romanzo racconta proprio l'incontro-scontro tra due culture e mentalità talmente diverse da risultare "incompatibili". 
E' la parte che, personalmente, ho trovato più ostica. C'è un senso di claustrofobia e di estraneità nel racconto della vita a Kilanga, nel modo in cui i Price cercano di adattarsi al loro "destino": c'è chi cerca di piegare i "pagani" alla propria interpretazione delle sacre scritture, chi cerca l'integrazione, chi desidera solo non essere contaminato e tornare a casa.
La Natura e la Storia avranno il sopravvento, e così, dopo la proclamazione d'indipendenza del Congo e l'inizio dei conflitti politici e sociali che ne seguono, dopo la siccità, le malattie e la morte, le donne Price lasciano Kilanga e si separano, seguendo strade diverse quanto i loro cuori e sogni.
Nel destino di Orleanna, Leah, Adah, Rachel e Ruth May, nelle loro vite che seguiamo nel corso degli anni, il romanzo trova un respiro più ampio. 
Lucido, spietato, a tratti ironico, a tratti commovente, L'albero velenoso della fede ci racconta come la vita possa prendere strade del tutte inaspettate e come i legami di sangue e la voce del cuore spesso non vadano a braccetto. Una storia di amore, di rivalsa, di violenza e di assoluzione, tutta, o quasi, al femminile, sullo sfondo la storia tormentata del centro Africa.
Un libro da non perdere: non lasciatevi spaventare dai primi capitoli, ci vuole un po' ad abituarsi al continuo cambio di punti di vista e di stile, ma ne vale la pena! 

"...Questa foresta mangia se stessa e vive in eterno...
..Molto più in basso, in fila indiana sul sentiero, procedono una donna e quattro ragazze, tutte in maniche di camicia. Viste da quassù sono boccioli esangui, destinati a suscitare compassione. Stai attenta. Più avanti dovrai decidere quanta compassione si meritino. La madre, soprattutto... guarda come le guida, occhi chiari, decisa."


Genere: saga famigliare, romanzo d'avventura, politico e storico (chi più ne ha ne metta).

Pagine:478.
Voto: 
             e mezzo



Commenti

  1. Ciao!
    ho scoperto il tuo blog grazie allo spring party lo trovo bellissimo e molte delle tue letture sono state anche le mie così ti ho nominata per i Liebester Award 2015! spero ti faccia piacere.
    Chicca
    http://librintavola.altervista.org/liebster-award-2015/

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  2. Ciao Tessa, non vedevo l'ora di leggere questa tua recensione. Credo proprio che faccia per me sai? Un argomento ostico, di cui secondo me si ha ancora paura adesso a parlare, forse per vergogna oppure non saprei. Credo di aver intravisto questa copertina da qualche parte, ma nonostante l'acacia africana in bella vista, l'ho lasciato scivolare. Sono felice di aver letto il tuo commento. Ti abbraccio

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  3. E' un libro che lascia qualcosa dentro, pur raccontando una storia che in fondo, è quella di molti paesi del terzo mondo. L'ho amato perchè non tenta di abbellire la realtà, non parla di posti incantati e magici.
    ..e pensare che dopo alcuni capitoli volevo smettere!!
    Un abbraccio a te xxx

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  4. Ecco, ora che ho letto la tua recensione mi è venuta voglia di comprarlo subito. Dopo aver letto La mia Africa ho ancora negli occhi e nel cuore le immagini della Blixen, così meravigliose ma anche forti e stridenti. Un paese così pieno di conflitti, di ferite e di bellezza come non ne esistono altri. Grazie TEssa del suggerimento!

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    1. La mia Africa è un libro bello e poetico, questo è più crudo, senza concessioni. Provalo, secondo me potrebbe piacerti!

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